La cornice, quello che sta tutt’intorno, è la campagna emiliana. Lunga, piatta, uguale a se stessa. Chilometri di linee parallele. Non si intersecano mai, talvolta si interrompono, brusche cambiano colore. Dall’alto la diversità risiede nelle tonalità, suggeriscono la stagione, il ritmo vitale, il tempo del lavoro.
Il quadro si fa più denso quando lo si attraversa. Le colture si moltiplicano, si diversificano così come i fiori sui rami appuntiti quando è primavera, aspettano che arrivi l’estate, umida e asfissiante, per diventare frutti. L’Emilia è tutto questo, un racconto secolare di fatica e orgoglio, di soddisfazione e tenacia. Ma è in questa visione, intaccabile a una prima impressione, che si mimetizza e prospera il nuovo.
Un normale orto di serre e filari svela a uno sguardo più affamato zucche grandi come meloni, la buccia verde mela; fiori bianchi dai petali accartocciati come documenti di un passato antico; forme allungate, bitorzolute, nodose, gemme rosso carminio che sono ancora fiori e sono già frutti: coltivazioni mai viste. Servono i sinonimi e le similitudini, mancano le parole per descriverle.
Una famiglia cinese si prende cura di questo luogo così diverso e così uguale alla campagna che prospera tutt’intorno. Passando in macchina, sulla strada tangente a questo tratto di campagna, è impossibile scorgere la differenza. Le loro coltivazioni sono anche le nostre se succhiano linfa dalla stessa terra?
Questo progetto fotografico parte da qui e affronta una particolare sfaccettatura che si cela nella parola sostenibilità, ossia la convivenza di diverse culture - e quindi colture – che conduce a un ampliamento del bagaglio alimentare di un luogo.
Globalizzazione nasce come termine neutro, diventato nero nella predominanza dell’Occidente e nell’appiattimento dei modi di vivere. Qui è ancora commistione, è ancora convivenza, trasmissione, educazione a altre culture che sono già “la nostra”. L’altro è già un tu. Forse, l’altro sono già io che calpesto questa erba, che piego la testa per entrare in questa serra tutta fili di ferro e plastica di riciclo, sono io che assaggio questi ortaggi e li compro e li porto a casa per cucinarli, metterli in frigo, confonderli col resto.
“Hu lu”, la parola cinese che si utilizza per “zucca”, è un omofono delle parole “protezione” e “buona fortuna”; nel feng shui, si crede che le zucche abbiano il potere di espellere gli spiriti maligni. Jack-o’-lantern, accesa durante la notte di Halloween, ha la stessa funzione, così come avviene per la festa di Sant’Andrea in Sardegna o il gioco dello zozzo in Toscana.
Il confine con l’altro non è più confine ma linea del tempo in cui il prima determina distanze, il dopo le azzera, dissolvendo l’impatto ambientale del trasferimento di prodotti nel concetto di casa. Del resto, l’orto si costruisce quando ci si sente a casa, non quando si è di passaggio.
Il futuro, dunque, è qui e risiede nell’altro. E nella capacità di accoglienza, nella potenza dello stupore, nello scoprire nuove forme e nuovi sapori; nel vedere il paesaggio emiliano come qualcosa che va al di là di un collage di linee rette.
E se la nuova fonte di energia fosse la terra stessa?
Il suo essere immensamente grande, il suo essere madre e accogliere, accogliere sempre, accogliere tutti.
Il quadro si fa più denso quando lo si attraversa. Le colture si moltiplicano, si diversificano così come i fiori sui rami appuntiti quando è primavera, aspettano che arrivi l’estate, umida e asfissiante, per diventare frutti. L’Emilia è tutto questo, un racconto secolare di fatica e orgoglio, di soddisfazione e tenacia. Ma è in questa visione, intaccabile a una prima impressione, che si mimetizza e prospera il nuovo.
Un normale orto di serre e filari svela a uno sguardo più affamato zucche grandi come meloni, la buccia verde mela; fiori bianchi dai petali accartocciati come documenti di un passato antico; forme allungate, bitorzolute, nodose, gemme rosso carminio che sono ancora fiori e sono già frutti: coltivazioni mai viste. Servono i sinonimi e le similitudini, mancano le parole per descriverle.
Una famiglia cinese si prende cura di questo luogo così diverso e così uguale alla campagna che prospera tutt’intorno. Passando in macchina, sulla strada tangente a questo tratto di campagna, è impossibile scorgere la differenza. Le loro coltivazioni sono anche le nostre se succhiano linfa dalla stessa terra?
Questo progetto fotografico parte da qui e affronta una particolare sfaccettatura che si cela nella parola sostenibilità, ossia la convivenza di diverse culture - e quindi colture – che conduce a un ampliamento del bagaglio alimentare di un luogo.
Globalizzazione nasce come termine neutro, diventato nero nella predominanza dell’Occidente e nell’appiattimento dei modi di vivere. Qui è ancora commistione, è ancora convivenza, trasmissione, educazione a altre culture che sono già “la nostra”. L’altro è già un tu. Forse, l’altro sono già io che calpesto questa erba, che piego la testa per entrare in questa serra tutta fili di ferro e plastica di riciclo, sono io che assaggio questi ortaggi e li compro e li porto a casa per cucinarli, metterli in frigo, confonderli col resto.
“Hu lu”, la parola cinese che si utilizza per “zucca”, è un omofono delle parole “protezione” e “buona fortuna”; nel feng shui, si crede che le zucche abbiano il potere di espellere gli spiriti maligni. Jack-o’-lantern, accesa durante la notte di Halloween, ha la stessa funzione, così come avviene per la festa di Sant’Andrea in Sardegna o il gioco dello zozzo in Toscana.
Il confine con l’altro non è più confine ma linea del tempo in cui il prima determina distanze, il dopo le azzera, dissolvendo l’impatto ambientale del trasferimento di prodotti nel concetto di casa. Del resto, l’orto si costruisce quando ci si sente a casa, non quando si è di passaggio.
Il futuro, dunque, è qui e risiede nell’altro. E nella capacità di accoglienza, nella potenza dello stupore, nello scoprire nuove forme e nuovi sapori; nel vedere il paesaggio emiliano come qualcosa che va al di là di un collage di linee rette.
E se la nuova fonte di energia fosse la terra stessa?
Il suo essere immensamente grande, il suo essere madre e accogliere, accogliere sempre, accogliere tutti.