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The Village
C’è un villaggio circondato da boschi nell’estremo sud della Bielorussia. Proprio vicino alla frontiera ucraina, dritto nel cuore della “zona d’esclusione”, la Polesky State Radiological Reserve, che circonda Chernobyl: trentun anni dopo il disastro nucleare del 26 aprile 1986, la sua terra ha una contaminazione di 31 curie per chilometro quadrato, i suoi abitanti - 329, compresi 88 bambini - hanno in corpo più di un millisievert (unità di misura dell’energia radioattiva assorbita da organi e tessuti umani), oltre la norma. Eppure non c’è traccia di controlli o di posti di blocco.
Questo villaggio esiste solo per la sua gente. Per tutti gli altri, è un luogo fantasma: troppo contaminato per continuare ad essere abitato.
Da diversi anni, per motivi umanitari, torno a Kirov per dare il mio aiuto ai bambini e alle loro famiglie: la dignità e l’ostinazione di chi continua a vivere qui, seppellendo in questa terra i propri morti e piantando in questa terra i propri semi, come se questo fosse l’unico luogo possibile da chiamare “casa”, continua ogni volta a stupirmi. Kirov è il teatro di una fiaba nera: nella scuola, in chiesa, nelle case con gli steccati dipinti in colori accesi, spostate appena qualche metro più in là del punto in cui sorgevano prima del disastro, si respira un’energia misteriosa e impalpabile.
Kirov contiene un segreto: come e perché si continua a vivere in un luogo di morte?
Kirov è uno spazio fuori dal tempo. Il passato, qui, è troppo pesante da ricordare, e il futuro troppo difficile da immaginare: quali saranno, negli anni, le conseguenze della contaminazione sulla salute di questa gente?
Non si è mai avviata una vera e propria ricerca scientifica per spiegare, alle persone che ancora popolano questo territorio – ed anche al mondo intero -come è avvenuto il loro processo di adattamento, se mai vi è stato. Qui non ci sono statistiche eclatanti di diffusi problemi alla tiroide o dei tumori che possano ricondurci ad un effetto diretto del consumo regolare di cibo certamente contaminato. Di certo tutto ciò è un mistero. Se mai le statistiche parlano di alcoolismo diffuso ed un alto tasso di povertà. La realtà è che queste persone continuano a vivere la loro vita, cercando di farla diventare il più normale possibile nonostante l’ombra incombente del disastro di Chernobyl. Solo a scuola vengono fatte misurazioni sui bambini che hanno una media, nel 2016, di 27,5 Bq/kg decisamente inferiore alle misurazioni del 2001 che riportano la cifra di 877,0 Bq/kg.
Il ricordo del disastro rimane negli archivi polverosi della biblioteca, nei barattoli delle conserve stipati nelle dispense, nel tessuto carnoso dei funghi contaminati da cesio 137 e stronzio 90 che a Kirov la gente ama raccogliere e mangiare, ma sbiadisce dalla memoria di chi, per continuare a vivere, preferisce dimenticare.