In occasione del festival di fotografia di Colorno, per la precisione il Colornophotolife, che si è svolto a ottobre del 2020, ho conosciuto Raffaella Castagnoli. L’occasione è stata la presentazione del suo recente libro fotografico intitolato NOMORE. Il mio interesse per i libri fotografici e le nuove pubblicazioni mi ha portato ad assistere alla presentazione di questa opera. Del libro mi hanno incuriosito diverse cose. Ad iniziare dalla copertina ritagliata a mano in pelle color verde, un adesivo con una palma, un elastico tondo verde che aiuta a chiudere come se fosse un’agenda di viaggio e una etichetta industriale con un filo rosso e un sigillo di piombo dove si evince titolo, autore e numerazione. Nello sfogliare questo libro si desume chiaramente che l’argomento principale è il punteruolo rosso ma poi entrano in scena altri personaggi, situazioni, ricordi. Così, pensando di chiarire le idee a me e a voi, mi sono rivolta a Raffaella e le ho proposto le seguenti domande alle quali lei gentilmente ha risposto. Quasi tutti i primi libri e soprattutto quelli autoprodotti, hanno a che fare con una parte importante della nostra vita o con un sogno che finalmente si realizza. Per te quale è stato il preciso momento/evento che ha fatto scattare l’idea del tuo libro? Ero partita da un portfolio ma non ero convinta, c’erano cose che mancavano, volevo che avesse un sviluppo più ampio, il numero di foto che generalmente compone il portfolio non mi bastava così, quasi naturalmente, sono arrivata al libro, è stato catartico perché mi sono obbligata a fermare su carta una parte importante della mia vita. Il libro racconta del punteruolo rosso e delle inevitabili conseguenze che ne deriva dell’attacco di questo insetto alle palme. Qual è il nesso tra questo insetto (o le su conseguenze) con tuo padre? La scelta del nome: NOMORE cosa vuole esprimere per te? A cosa ti riferisci? Cosa è che non deve succedere più? Questa risposta comprende le due domande: Il titolo è riferito a quello che non c’è più, che non avrà più possibilità di svilupparsi, ovvero un rapporto con un padre, una figura totalmente sconosciuta, e la palma, quel particolare tipo di palma colpita dal punteruolo che ha distrutto gli esemplari ricordo della mia infanzia. Il libro ha un accurato editing. Inoltre, include disegni e immagini d’archivio. Ti sei rivolta ad un curatore o hai fatto da sola? La prima stesura del libro l’ho creata da sola ed era già comprensiva di immagini d’archivio e disegni. Dopo varie prove sul computer l’ho stampato perché avevo bisogno della fisicità per rendermi conto di come poteva essere, quindi l'ho costruito, usando una legatura Watoji, in formato orizzontale e dopo una lettura in cui ho fatto visionare il dummy mi è stata proposta una curatela da Loredana de Pace. Successivamente insieme a lei per i testi e Luca Panaro per la parte grafica l’abbiamo reso più “contemporaneo”, rivedendo e limando alcuni aspetti della struttura tra i quali il formato che è diventato verticale. Le immagini d’archivio fanno parte dall’inizio del tuo racconto o è un elemento che hai aggiunto dopo? In quale modo queste immagini delineano o cambiano la tua storia? Le foto d’archivio fanno parte dall’inizio della progettazione, sono assolutamente funzionali al percorso della memoria che attraversa tutto il libro, ho solo operato alcune scelte di esclusione o inclusione di alcune immagini. Raccontaci della realizzazione “head&handmade” della copertina. Qual è la fonte d’ispirazione (se c’è) e perché l’idea di fare una copertina in “pelle”? Volevo che questo libro assomigliasse il più possibile a un diario personale, il libro è un “head&handmade”, ho scelto la pelle perché è sulla mia pelle che ho vissuto questa perdita, poi cercando da un grossista le varie tipologie ho trovato quella con cui ho realizzato il libro, double face, nera e verde, perdita e speranza, ho creato la dima e ho tagliato la pelle, realizzando una sorta di taccuino. Ho messo l’adesivo “cicciotto” in copertina perché ho attinto ai miei ricordi di infanzia, quelli del "formaggino mio", e questo è stato quanto di più simile sono riuscita a trovare. Ho deciso di stamparne 57 copie, tante quanti gli anni che avevo l’anno scorso quando l’ho realizzato definitivamente. Mi sono appoggiata a una cartolibreria della zona che stampa anche libri. Purtroppo però dopo le prime 25 copie c’è stata una alluvione e non è stato più possibile stamparne altre. 21 copie sono state vendute e le 4 rimanenti saranno presto inviate a Luca Panaro da tenere nel suo Chippendale Studio. Non mi resta che sottolineare l’importanza del confronto con un curatore per la realizzazione di un libro fotografico anche se in handmade. A volte lasciare le nostre fotografie allo sguardo altrui può sorprenderci piacevolmente o no. Noi che siamo dentro la storia, e si sa, come diceva il poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe: “L’occhio vede ciò che la mente conosce”, fotografiamo quello che la nostra mente già conosce, così è anche per chi guarda. Trovare una buona empatia con un curatore, in questo scambio mentale, serve a costruire un fil rouge in un libro fotografico che fa decisamente la differenza. Alla prossima intervista!
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Ho avuto il piacere di conoscere l’isola di Marettimo nel settembre del 2020. Come un miraggio in mezzo all’attuale pandemia, arrivò l’invito per partecipare alla celebrazione del matrimonio di una coppia di amici, Manuela e Davide, che si sarebbe svolto proprio su quell’isola. Tanta fu la mia sorpresa nell’apprendere dove avrebbe avuto luogo la cerimonia. Mi sono chiesta cosa avesse colpito loro di questo posto per decidere di fare una cerimonia nuziale così lontano da casa. Perciò, con il mio solito spirito esplorativo, decisi di non perdermi la possibilità di dare sfogo alla mia curiosità e decisi di partecipare a questa nuova esperienza che mi avrebbe regalato il piacere di condividere un momento particolare con cari amici. L’isola mi accolse nel primo pomeriggio e fu subito incanto. Marettimo, che secondo alcuni studiosi sarebbe proprio Itaca, l’isola di Ulisse descritta dal Poeta Omero, era lì, in attesa di ogni viaggiatore portato dall’aliscafo. Al mio arrivo aleggiava un’aria particolare, un intenso profumo di timo mescolato all’odore del mare. Una sorta di elisir che mi fece immediatamente sentire in armonia, fuori dal tempo, in una dimensione di intima percezione del sé Sull’isola non ci sono macchine, solo qualche jeep autorizzata. Il paesino incontaminato, fatto di case bianche con infissi azzurri, si gira in pochi minuti. Il resto è mare e montagna selvaggia, una meraviglia da esplorare a piedi o in barca, in una continua estasi di armonia ed esplosione dei sensi. Così, insieme al resto degli invitati, una volta designato il Bar Tramontana come punto di ritrovo per i nostri incontri, ci siamo lanciati subito nell’esplorazione dell’isola. Da una condizione di completi sconosciuti all’inizio, riuscimmo a a fare gruppo e il divertimento fu assicurato. Dopo le prime fasi esplorative, arrivò finalmente il momento della tanto attesa cerimonia. Il matrimonio si celebrò di venerdì ore 17.00. La sposa si presentò in abito di pizzo con top in stile provenzale e gonna a campana, qualche perla nei capelli raccolti e un paio di classiche scarpe décolleté bianche ai piedi. Semplice ma di effetto. Lo sposo, invece, in abito bianco di cotone con maglietta gialla e sneakers bianche ai piedi. Uno stile informale. Adatto all’isola e in perfetta sintonia con lo sposo. Per l’ora stabilita la sposa giunse con le sue damigelle in un’ape car allestita per l’occorrenza. Nella piccola stanza dove il Comune celebra gli sposalizi lo spazio era solo per parenti molto stretti. Noi tutti invitati siamo rimasti fuori nel vicolo in attesa e sbirciando. Dopo il rito nuziale ci siamo trasferiti al molo, anche lui allestito, per uno scambio di promesse degli sposi. Un modo ben pensato per far partecipi anche tutti noi a questo gioioso evento. Più tardi con i dolci ritmi lenti isolani, gli sposi si avviarono a farsi le fotografie di rito in diversi angoli d’isola e noi verso un ristorante (Il Veliero) affacciato al mare in un tramonto spettacolare. Poi menù isolano, tanta musica e danze fino a mezzanotte. Marettimo è la più occidentale delle isole Egadi in Sicilia. Grazie allo scarso impatto dell’uomo sull’ambiente l’isola conserva un patrimonio faunistico e vegetativo di notevole ricchezza e rarità. Questa peculiarità ne fa una meta ricercata per gli amanti del trekking e della natura. Ebbe molte influenze ad iniziare dai romani, l’invasione dei vandali, dei bizantini, dei saraceni, gli arabi e infine i cristiani. Così dei diversi periodi rimangono le “Case Romane”, la chiesetta bizantina, il Castello di Punta Troia e altri reperti archeologici. Il castello di Punta Troia è sito nell’omonimo promontorio a strapiombo sul mare da dove si gode una vista spettacolare del mare e dell’isola. Si può raggiungere a piedi in una camminata di circa 3 km o in barca. L’ingresso è gratuito e la mascherina obbligatoria. Sabato mattina, gl’invitati rimasti e gli sposi, abbiamo condiviso una bellissima gita in barca attorno all’isola. Nella nostra giornata in barca abbiamo potuto ammirare l’imponenza dell’isola, per lo più tutta montuosa, insieme alle svariate grotte che si susseguono sulla costa, circa 400 tra sommerse ed emerse. Tra quelle più conosciute abbiamo visitato la grotta del Tuono o del Presepe, la grotta del Camello ognuna con un aneddoto raccontato dal barcaiolo. L’acqua del mare era di un azzurro intenso dal quale nessuno avrebbe mai voluto venirne fuori. Marettimo è un’isola incantata, un sortilegio al cuore. La mia curiosità ebbe le risposte e la mia anima un misto di emozioni in simile magica cornice. Uno di quei momenti che davvero ricorderemo per sempre. |
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Febbraio 2021
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